Dove
Spazio
Oberdan
Viale Vittorio Veneto 2, Milano
Quando
dal 21 maggio al 4 ottobre 2009
|
Presentación
Existe un arte contemporaneo latinoamericano? Y una literatura? Y un cine?
Como indica va el tftulo plural, "Las Américas Latinas":
esta exposiciòn suscita dudas sobre la existencia misma de una
Latino-América. Y nadie resulta mas adecuado que Philippe Daverio,
asistido en su empresa por Elena Agudio y Jean Blanchaert,
para explorar una paradoja e idear un provecto fuera de los esquemas para
indicar la complejidad y la pluralidad de culturas, procedencias,
idiomas y costumbres que sòlo una aproximaciòn europea puede leer corno
unitaria.
En América Latina ha habido una mezcolanza
humana y un encuentro de civilizaciones sin precedentes en la historia. Poco
se conoce de la producciòn cultural mas reciente de
un area geografica "ya no de moda": confinada en retazos de
informaciones que se remontan a los afios Setenta, lugares comunes que
perjudican el conocimiento. Se trata de pa[ses
lejanos, si bien emoti-vamente pròximos, sobre todo porque fueron meta de la
inmigraciòn de muchos italianos. Paìses conocidos por el tango, el barroco,
el realismo magico, pero también por las dictaduras, la sangre, las
persecuciones...
Escribe el comisario de la exposiciòn, Philippe Daverio: "Las Américas
Latinas san el lugar del mundo don de, por todas partes, sin respetar las
necesidades de las paredes de los salones o de los museos, el arte esta
convencido de que debe desempefiar un papel polItico, primordialmente
politico. Esta convencido de deber testimoniar, de deber secundar la pasiòn
de los propios intelectuales frente a un debate perenne.
Ciertamente, corno por todas partes, se siente
tentado por los halagos del mercado. Pero corno allI las lisonjas siguen
siendo fragiles, son igualmente débiles las ganas de secundarlas. EI arte de
las Américas Latinas es libre. Y quizas incluso emancipado. Sin duda se
encuentra desligado de cualquier facil clasificaci6n étnica si le consiente a
cada uno su propio recorrido y permite que todos los que toman contacto con
las areas y los aires formen parte de él. Cuantos europeos entra n todavfa en
su magma!"
EI recorrido que ofrecemos es multiple y entrelazado, corno la realidad que
se quiere representar. Artes figurativas, pero también literatura y ci ne,
para explorar el crisol de América del Centro y del Sur en su rostro actual,
el que todavfa no se ha narrado.
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Gli artisti in mostra,
notizie biografiche. A cura di Laura Salvatdori e Francesca Tenuzzo
Pat Andrea
Nato all’Aja, in Olanda, nel 1942, attualmente divide il suo tempo tra la
città natale, Parigi e Buenos Aires. Pittore, grafico e illustratore
auodidatta, non frequenta scuole. Nel 1967 riceve il Premio “Jacob Maris” per
la pittura. Il suo lavoro cattura ed elabora gli orrori e le fobie della
guerra tra i sessi. Un ironico erotismo e una violenza trattenuta sono i temi
principali dei suoi dipinti e disegni, che la critica suole paragonare al
lavoro di Balthus e Bacon. Da un punto di vista formale si ritrovano nelle
sue opere le lezioni dei classici combinate a un espressionismo grottesco,
con immagini di grande intensità.
Alexandre Arrechea
Nato nel 1970 a Trinidad, Cuba, si laurea presso l’Instituto Superior de Arte
all’Avana nel 1994. Per dodici anni, fino al luglio 2003, è membro del gruppo
Los Carpinteros. Il suo lavoro, che si caratterizza per la qualità
interdisciplinare e le opere monumentali, indaga i rapporti di potere e le
gerarchie, affronta i temi della sorveglianza, del controllo, della
soggezione, dell’isolamento sociale. Tiene mostre personali a New York, Los
Angeles, San Diego, Washington e partecipa a numerose mostre collettive, tra
le quali, nel 2009, la X Biennale dell’Avana e la II Biennale d’arte
contemporanea di Salonicco.
Artur Barrio
Artur Alípio Barrio de Sousa Lopes nasce nel 1945 a Oporto in Portogallo. Nel
1955 si trasferisce a Rio de Janeiro, in Brasile, città dove nel 1967 intraprende
gli studi d’arte, iscrivendosi all’ENBA, la scuola di belle arti. Per buona
parte della sua crescita artistica e della sua carriera il Brasile vive in
una situazione politica molto difficile, sotto la dittatura militare e alle
prese con violenze, scontri ed episodi di “pulizia sociale” nei confronti di
delinquenti, emarginati e senzatetto. Negli anni Settanta lascia per un
periodo Rio e fa ritorno in Portogallo. L’abuso di potere e la mancanza di
libertà sono un fil rouge nella vita e nell’arte di Artur Barrio, autore
riconosciuto a livello mondiale, anche se poco presente sulla scena mondana.
Un suo “manifesto” del febbraio 1970 sottolinea l’inutilità di Salon, premi,
giurie e critici d’arte e la contrarietà all’imposizione di un’estetica da
parte di un’élite. Di qui la decisione di utilizzare materiali rifiutati
dalla tradizione, quali carta igienica, spazzatura, urina, feci, carne,
sangue. Materiali effimeri, precari, deperibili, che provocano una forte
reazione sensoriale e che non permettono una lunga conservazione dei suoi
lavori, sottolineando come l’interesse dell’artista risieda nella creazione
dell’opera d’arte stessa e nello sviluppo di una situazione in grado di far
interagire e soprattutto reagire le persone che vi entrano in contatto. Le
sue opere, infatti, sono installazioni che costringono il pubblico a
partecipare e a imprimere nella propria mente e nella coscienza un’esperienza
che, anche se spiacevole, fa parte della vita reale. Nella sua arte si
ritrovano connessioni con i movimenti Dada e Fluxus, con l’arte situazionista
e la controcultura in genere. Il suo lavoro può anche essere inteso come
neodada, dato il rigetto dei più comuni standard vigenti nel mondo dell’arte,
quali materiali tradizionali e spazi espositivi.
Luis Fernando Benedit
Nato nel 1937 a Buenos Aires, in Argentina, è pittore autodidatta. Nei primi
lavori, che risalgono agli anni Sessanta, è già possibile distinguere le
caratteristiche tipiche della sua pittura: il carattere narrativo delle
immagini, la nostalgia della natura e il riscatto della storia naturale. La
sua prima mostra personale è nel 1961 a Buenos Aires. Dopo la laurea in
architettura nel 1963, si trasferisce in Spagna per specializzarsi in
architettura popolare e vi rimane per due anni, poi nel 1967 frequenta un
corso di architettura paesaggistica a Roma. Negli anni Settanta, accostatosi
all’arte concettuale, crea luoghi artificiali al cui interno inserisce piante
e animali vivi e compie esperimenti fisici e chimici alla cui base vi è
sempre l’idea del “processo”. Nel 1970 rappresenta l’Argentina alla Biennale
di Venezia con un’opera che contiene cinquemila api vive. Al termine degli
anni Settanta sviluppa la tematica della natura, riflettendo sui danni
prodotti dallo sviluppo tecnologico e sui cambiamenti che ne conseguono.
Negli anni Ottanta ritorna alla pittura, abbandona il tema della natura e
inizia una profonda riflessione sull’identità, le problematicità regionali e
la memoria storica. Del 1980-81 è la serie La guerra. A metà degli anni
Ottanta crea opere in cui sono presenti simboli della tradizione creola:
duelli, accette, coltelli, usi e i costumi del gaucho e della vita contadina.
Numerose le esposizioni in patria e all’estero, tra cui la Biennale di San
Paolo del Brasile nel 1987 e 1991 e di nuovo la Biennale di Venezia nel 1999.
Iñaki Beorlegui Estévez
Nato nel 1964 a Città del Messico, nel 1978 si trasferisce a Guadalajara,
dove attualmente vive e lavora. Verso la fine degli anni Settanta ha inizio
il suo percorso artistico: in un primo momento si avvicina al disegno e, solo
in seguito, alla pittura. Di formazione prevalentemente autodidatta,
partecipa ad alcuni workshop di disegno e pittura tenuti presso l’Istituto
Culturale Cabañas nel 1985 e poi, nel 1987, dal pittore José Fors. Da studente
diviene lui stesso insegnante d’arte all’Università ITESO, sempre a
Guadalajara. Del suo lavoro si sottolinea la sobrietà nell’uso del colore, la
sensazione tattile delle superfici, la figurazione velata, la liricità delle
opere. Il temperamento, la professionalità e il carattere di questo artista
sono i suoi elementi distintivi. Partecipa a numerose esposizioni sia
individuali che collettive.
Arthur Bispo do Rosário
Nato a Japaratuba-Sergipe, in Brasile, tra il 1909 e il 1911, morto a Rio
de Janeiro nel 1989. Proveniente da una famiglia di schiavi di colore,
inizialmente lavora in marina e poi entra alle dipendenze di una tradizionale
famiglia carioca. Dopo alcuni episodi di allucinazioni, in cui dichiara di
essere stato incaricato da Dio di giudicare i vivi e i morti, viene
ricoverato in ospedale e, in un secondo momento, trasferito presso la Colônia
Juliano Moreira, un istituto di Rio de Janeiro per persone considerate
“anormali”, tra cui negri, poveri, alcolizzati e malati psichici, e vi
rimarrà per cinquant’anni. Durante la permanenza in istituto Bispo do Rosário
comincia a produrre alcuni oggetti utilizzando differenti tipologie di
materiali, dai rifiuti ai rottami; una volta scoperti, verranno classificati
come arte d’avanguardia e paragonati ai lavori di Marcel Duchamp. Nei suoi
lavori i temi più ricorrenti sono quelli inerenti le navi e la marina, ma
anche missili, stendardi e oggetti d’uso comune. L’opera più nota è il Manto
da apresentação, da indossare nel giorno del Giudizio finale. Numerosi nella
sua produzione sono i riferimenti alla fede cristiana e all’arte africana,
date le sue origini. Solo di recente le sue opere hanno acquistato valore, a
tal punto da essere esposte a Venezia, Stoccolma, Parigi, New York e in
America Latina. Artista concettuale, pop, folk, visionario o psicotico, è un
fabbricatore di storie sacre e profane, reali e immaginarie.
Marcelo Bordese
Nato nel 1962 a Córdoba, in Argentina, vive e lavora a Buenos Aires. Bordese
è esponente di una nuova generazione di artisti visionari latinoamericani che
stanno rivoluzionando il linguaggio tropologico dell’arte religiosa. Le sue
opere travolgenti stupiscono per la padronanza della tecnica e allo stesso
tempo provocano smarrimento per i soggetti e le tematiche affrontate. Figure
mostruose colte in deliziosi balletti di cannibalismo e penetrazioni
sessuali, crocifissioni e immagini di delirio collocano la pittura di Bordese
nella tradizione del sublime. La crudezza delle sue opere, l’intensità con
cui le sue immagini irrompono nell’inconscio richiamano l’esperienza dei
surrealisti e la psicoanalisi di Jung e Freud, e ancora Dante e Sade,
Baudelaire e Poe, Bosch, Grunewald e Goya.
Jacobo Borges
Nato a Caracas, in Venezuela, nel 1931, inizialmente lavora come
litografo e grafico pubblicitario, poi si iscrive, nel 1949, alla Scuola di
Arti Plastiche e Applicate di Caracas, da cui viene espulso nel 1951 per la
sua contrarietà ai metodi d’insegnamento adottati. Continua il suo percorso
nel mondo dell’arte da autodidatta, e questo non gli impedisce di frequentare
un workshop che gli permette di esporre il suo lavoro e gli apre le porte a
livello internazionale. Vince numerosi premi, tra cui uno con la Metro
Goldwyn Mayer, che lo porta a Parigi. Restando in Francia per quattro anni,
crea opere fortemente ispirate ai fauves e al cubismo, movimenti già studiati
durante gli anni scolastici. Nel 1956 torna in Venezuela, dove sviluppa uno
stile maggiormente neofigurativo, un cambiamento necessario per esprimere il
suo scontento politico e sociale. Nel 1966 abbandona la pittura e per cinque
anni si dedica al cinema e allo studio dei nuovi mezzi di comunicazione
multimediali, utilizzandoli come strumenti di denuncia sociale. I suoi lavori
più recenti riflettono l’influenza esercitata dalle passate esperienze come
regista e fotografo e rivelano un Borges meno interessato ai temi di
attualità e più a quelli riguardanti le tradizioni, i costumi, lo scorrere
del tempo e la memoria, che traendo ispirazione da fotografie da lui
collezionate e trasformate in dipinti, riesce a creare uno stile unico e
personale. Nel 1995 il governo del Venezuela dà il suo nome a un museo nella
parte più povera di Caracas, nell’intento di offrire a tutti la possibilità
di accedere al mondo dell’arte. Tra le numerose partecipazioni e i premi, nel
1957 Borges è presente alla Biennale di San Paolo del Brasile, nel 1958 alla
Biennale di Venezia e nel 1964 al Guggenheim di New York.
Tania Bruguera
Nata all’Avana, a Cuba, nel 1968, il suo percorso formativo si presenta
piuttosto articolato: frequenta all’Avana la Escuela Elemental de Artes
Plásticas (1980-83), la Escuela de Artes Plásticas San Alejandro (1983-87),
l’Instituto Superior de Arte (1987-92) e, a Chicago, consegue, in Illinois,
il master of fine art-performance presso la School of the Art Institute
(1999-2001). Dal 1986 lavora con il proprio corpo realizzando performance,
installazioni, opere e video. Secondo Tania Bruguera l’arte è un’esperienza
sia fisica sia psicologica che permette di acquisire conoscenza e studiare la
percezione emotiva. Nel suo percorso di ricerca indaga la trasformazione
umana come parte e conseguenza di un rapporto con il potere e il fragile
equilibrio tra etica e desiderio, sperimentando nel suo lavoro performativo
la paura, la vulnerabilità, l’autodeterminazione, l’obbedienza e la libertà,
intese tutte come strategie di sopravvivenza sociale. Si segnala la sua
partecipazione a numerose Biennali in tutto il mondo, da Venezia a
Johannesburg, da San Paolo del Brasile a Shanghai, dall’Avana a Santa Fe negli
Stati Uniti.
Adriana Bustos
Nata nel 1965 a Bahía Blanca, Argentina, citta a sud-est di Buenos Aires, si
diploma alla Escuela de Bellas Artes Figueroa Alcorta e si laurea in
psicologia presso l’Universidad Nacional di Córdoba. Terminati gli studi,
rimane a Córdoba, dove attualmente vive e lavora. Gli strumenti che più ama
sono la fotografia e i video, con una naturale passione per i documentari e
per la loro realizzazione. I suoi lavori raccontano una personale visione
della realtà che la circonda, analizzano la città e le persone che la vivono,
e offrono in tal modo allo spettatore lo spunto per l’avvio di una
riflessione di ampio respiro su uno spaccato di vita sociale. Nella sua
carriera ha ricevuto premi e borse di studio e ha tenuto numerose mostre, soprattutto
a Córdoba e Buenos Aires, in Messico e in Brasile.
Iván Capote
Nato nel 1973 a Pinar del Río, Cuba, dal 1985 all’88 studia alla Escuela
Vocacional de Arte nella sua città e dal 1988 al ’92 alla Escuela Nacional de
Arte dell’Avana. Nel 1999 tiene la sua prima mostra personale, Buscando la
raíz, al Centro Provincial de Artes Visuales di Pinar del Río, alla quale
seguono nel 2001 Armonía de contrarios alla Galería Habana nella capitale
cubana, nel 2003 Dibujos y proyectos alla Brownstone Foundation di Parigi e
nel 2006 Aforismos ancora alla Galería Habana. Numerose anche le esposizioni
collettive, i premi vinti e le pubblicazioni. Sue opere sono presenti in
molte collezioni degli Stati Uniti, tra cui Arizona State University Art
Museum, Alex and Carole Rosenberg, Ben Rodríguez e Diane L. Ackerman di New
York, ma anche d’Europa, tra cui la Daros Latinoamerica di Zurigo e la
Charles Diamond di Londra.
Yoan Capote
Nato a Pinar del Rio, Cuba, nel 1977, il suo percorso formativo ha inizio
nel 1988 alla Scuola Provinciale d’Arte locale, quindi tra il 1991 e il 1995
studia alla Scuola Nazionale d’Arte dell’Avana e tra il 1996 e il 2001 si
perfeziona all’Istituto d’Arte dell’Avana, dove successivamente tiene un
corso di arti visive fino al 2003. Interessato alla lavorazione dei materiali
e affascinato dalla possibilità di interazione del pubblico con gli oggetti,
si dedica in particolare alla scultura. Inizia a esporre nel 1994 presentando
le sue opere in varie gallerie a Cuba e a New York e partecipando, tra l’altro,
alla Biennale dell’Avana nel 2000 e nel 2003.
Los Carpinteros
Gruppo di tre artisti cubani fondato all’Avana nel 1994 da Alexandre
Arrechea (nato a Trinidad nel 1970), Marco Antonio Castillo Valdés (nato a
Camagüey nel 1971) e Dagoberto Rodríguez Sánchez (nato a Caibarién nel 1969).
Nel luglio 2003 Alexande Arrechea lascia il gruppo per proseguire la sua
carriera come artista solista. Valdés e Sánchez studiano alla scuola d’arte
provinciale per poi specializzarsi presso l’Instituto Superior de Arte (ISA)
dell’Avana. Le loro opere, parafrasando l’architettura e gli strumenti
utilizzati comunemente secondo la teoria DUPP (desde una pragmática
pedagógica) del loro maestro René Francisco, vanno oltre il senso comune
delle cose, indagano e portano alla luce i significati latenti degli
elementi, ne investigano le discordanze e le ambiguità, amplificano il lato
assurdo delle cose, trovando però sempre una spiegazione personale attraverso
uno sguardo puntuale e preciso sulla realtà.
Liset Castillo
Nata nel 1974 a Camagüey, Cuba, studia arte per dodici anni all’Instituto
Superior de Arte all’Avana, diplomandosi nel 1998. Nel 2000 decide di
trasferirsi ad Amsterdam per seguire un programma internazionale per artisti,
e in questa città ancora oggi vive e lavora. Le sue opere sono effimere e
transitorie come la realtà che descrive e che la circonda; non è un caso,
infatti, che dopo averle fotografate, le distrugga: troppo fragili per poter
sopravvivere. Per creare i suoi universi solitari utilizza il pulviscolo di
silicio, materiale che le permette di ricreare la sabbia, elemento base nei
suoi paesaggi urbani, nei suoi mondi privi della presenza umana, disabitati,
isolati, ma che ricreano perfette costruzioni geometriche. Ha vinto numerosi
premi e borse di studio, tra cui quella conferitagli dalla Guggenheim
Foundation di New York. Suoi lavori sono presenti nelle maggiori collezioni
pubbliche e private e sono stati esposti in numerose mostre personali e
collettive.
Nicola Costantino
Nata a Rosario, in Argentina, nel 1964, si diploma alla Scuola di Arti Visive
della sua città, specializzandosi in scultura e coltivando interesse per
materiali come il silicone, la resina e il poliestere e per le varie tecniche
di lavorazione, frequentando botteghe artigiane e fabbriche. Nel 1989
sperimenta le abilità acquisite realizzando novanta bambole alte ottanta
centimetri, usate in seguito in diverse installazioni artistiche. Nel 1992
intraprende un percorso di ricerca e sperimentazione sui prodotti alimentari,
lavorando con le carni e gli organismi animali, specialmente suini. I suoi
esperimenti la portano a frequentare un corso di tassidermia presso il Museo
di Scienze Naturali a Rosario, dove impara a imbalsamare gli animali. Segue
poi un workshop per giovani artisti organizzato dall’artista Pablo Suárez a
Rosario. Nel 1995 si trasferisce negli Stati Uniti per frequentare un
programma di studio presso la Scuola d’Arte di Houston, dove inizia a
sperimentare la lavorazione del silicone per ottenere una copia quasi esatta
della pelle umana, utilizzata poi per la produzione di una linea di
abbigliamento. Tornata in Argentina, tiene corsi di insegnamento delle
tecniche per la produzione di oggetti d’arte e sculture, in particolare per
lo stampaggio di silicone e resina di poliestere colata. Nel 1999 lavora a
una nuova serie di opere: feti di animali morti, in particolare puledri, tori
e vitelli. Del 2003 è il progetto Savon de corps, ovvero la produzione di
saponi creati con parte della propria sostanza grassa ottenuta mediante liposuzione.
Farnese de Andrade
Nato nel 1926 ad Araguari, in Brasile, morto nel 1996 a Rio de Janeiro, è
pittore, scultore, disegnatore, incisore e illustratore. Dal 1945 al 1948
studia disegno con Guignard a Belo Horizonte presso la Escola do Parque, poi
si trasferisce a Rio per curarsi la tubercolosi. Dal 1950 al 1960 lavora come
illustratore di libri di letteratura e per alcune riviste e inizia a
frequentare il laboratorio di incisione presso il Museu de Arte Moderna di
Rio, dove perfeziona la tecnica di incisione del metallo sotto la guida di
Johnny Friedlaender. Nel 1964 comincia a lavorare con materiali di scarto,
trovati sulle spiagge e nelle discariche, ma utilizza anche armadi e oggetti
acquistati presso antiquari. Spesso nelle sue opere sono presenti pure
vecchie fotografie. Dal 1967 in poi utilizza la resina poliestere per
avvolgere materiali deperibili. Nel 1970 vince un viaggio-premio al Salão
Nacional de Arte Moderna e decide di trasferirsi a Barcellona, dove rimane
fino al 1975, per poi ritornare in Brasile.
Gabriele De Stefano
Nato a Reggio Calabria nel 1936, ancora giovanissimo ottiene grandi
riconoscimenti: espone con Andy Warhol al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel
1974 e cura scene e costumi per vari spettacoli di Vittorio Gassman, tra cui
Affabulazione di Pier Paolo Pasolini. Alla fine degli anni Settanta si
trasferisce a New York, poi a Los Angeles e di lì in Brasile. Qui inizia il
suo percorso interiore tra le comunità degli Yanomami, tra i bacini
dell’Orinoco e del Rio Negro, nel Nord-est, tra il Brasile e il Venezuela. Il
lungo periodo di frequenza costante con gli Yanomami restituisce un artista
sciamano le cui opere sono un esempio di primitività pressoché unico al
mondo. I suoi lavori evocano rituali di una sacralità animistica, e in qualche
caso animalistica, di gruppi tribali, di culture recentemente sedentarie ma
ancora intimamente legate a una primigenia vocazione nomade, dove il ponte
tra i vivi e l’al di là è rappresentato da quelle sostanze allucinogene che
trasformano eventi naturali e animali in miti e il mito in regola di vita o
in ausilio essenziale nei momenti decisivi, nelle malattie, nei combattimenti
e nel corso di avversi fenomeni meteorologici e naturali. Di questo vasto
mondo spirituale De Stefano è testimone e interprete, e la sua pittura lo
restituisce filtrato dalla sua immaginazione e arricchito dalla sua sapienza
pittorica.
Marcia Duhagon
Nata a Buenos Aires, in Argentina, nel 1965, si laurea in psicologia
all’Università di Buenos Aires, frequenta un corso di fotografia presso il
Centro Cultural Recoleta e nel 1999 si trasferisce in Messico, dove continua
a studiare al Centro de la Imagen con professori del calibro di Charles
Harbutt, Allen Frame, Jeff Jacobson, Arlene Collins, Christian Caujolle,
Alejandro Castellanos, Zoran Filipovic, Manuel Romero, Jim Goldberg e Philip
Brookman. Tornata poi in Argentina, studia film direction of photography al
Sindicato de la Industria Cinematográfica, dove segue corsi di videoarte,
semiotica e fotografia estetica. Dal 1998 partecipa a numerose mostre
collettive, soprattutto in Argentina, e nel 2007 tiene la sua prima mostra
personale, Eje 3, presso il Cultural Space, all’interno dell’Ambasciata del
Messico a Buenos Aires.
Alinka Echeverría Samperio
Nata nel 1981 a Città del Messico, nel 2002 studia antropologia visuale,
sviluppo e scienze politiche all’Università di Bologna, prende un master in
antropologia sociale e sviluppo all’Università di Edimburgo, nel 2005-06
frequenta un corso alla Escuela Activa de Fotografía in Messico e nel 2007-08
si specializza in fotografia documentaristica a New York. Tiene la sua prima
mostra personale nel 2008 al Museo de los Pintores Oaxaqueños a Oaxaca, in
Messico; numerose le esposizioni collettive, tra cui, nel 2007, la Biennale
di Venezia.
Luis González Palma
Nato a Città di Guatemala nel 1957, studia architettura e cinema presso
l’Universidad de San Carlo di Guatemala, appassionandosi in seguito al mondo
della fotografia. Ora vive e lavora a Córdoba, in Argentina. Protagonisti dei
suoi lavori sono i “mestizo”, termine di origine spagnola utilizzato per
indicare le persone di razza mista: europea e indiana. Nelle sue opere ritrae
appunto l’anima degli indigeni maya e dei mestizo guatemaltechi, ne racconta
la cultura, le usanze, i costumi, ma anche le sofferenze, l’emarginazione, il
vissuto psicologico, il loro essere una minoranza. Molto frequente l’uso di
simbolismi e di tecniche fotografiche quali il collage, con zone prive di
colorazione e l’uso del color seppia. Numerose le esposizioni collettive e
personali in tutto il mondo, Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Spagna. È
presente in numerose collezioni pubbliche e private, quali l’Art Institute di
Chicago, la Daros Foundation di Zurigo, la Maison Européenne de la
Photographie di Parigi, il Museum of Fine Arts di Houston, la Fondation pour
l’Art Contermporain di Parigi, la Fondazione Volume di Roma.
Ignacio Iturria
Nato a Montevideo nel 1949, cresce nella capitale uruguaiana studiando
arte e graphic design, per poi dedicarsi interamente alla pittura. Nel 1975
partecipa al Salone nazionale delle arti plastiche e visive dell’Uruguay,
dove è premiato, e al XXIII Salon municipal di Montevideo. Nel 1993 realizza
una mostra significativa del suo lavoro presso il Museo d’Arte delle Americhe
e rappresenta l’Uruguay alla Biennale di Venezia. Nel 1994 viene premiato
alla Biennale internazionale di Cuenca e alla XII Biennale della grafica di
San Juan. Pur essendo principalmente un pittore, le sue opere si
caratterizzano per la varietà dei materiali utilizzati: cartone ondulato,
filo, lattine, scatole, oggetti trovati e piccole pietre. Tiene numerose
mostre in Uruguay, Argentina, Brasile, Spagna, Giappone, Germania e Stati
Uniti.
Alessandro Kokocinski
Nato in Italia a Porto Recanati nel 1948 da madre russa e padre polacco,
trascorre l’infanzia in Brasile, nella foresta dell’Iguazú, a contatto con
gli indios Guaraní; in seguito si trasferisce in Argentina e negli anni
Sessanta comincia a lavorare per il circo girando l’America Latina. Tornato
poi a Buenos Aires, lavora come scenografo. La persecuzione della giunta
militare argentina lo costringe nel 1969 a rifugiarsi in Cile, dove inizia a
esporre disegni di chiara denuncia politica. Allinizio degli anni Settanta è
a Roma, dove studia con il maestro Riccardo Tommasi Ferroni e sviluppa le sue
capacità espressive nella pittura, nel disegno, nella scultura e nella
scenografia. Il realismo visionario della sua arte è frutto di un
caleidoscopio di culture, proiettato com’è in una dimensione rigorosa e
insieme fantastica e allucinata. Il tema della guerra è spesso al centro
delle sue opere, che esprimono l’idea dell’orrore per la sopraffazione, la
violenza e l’arroganza. Instancabile viaggiatore, con lunghi soggiorni nel
continente asiatico, attualmente vive in Italia, a Tuscania.
Nelson Leirner
Nato nel 1932 a San Paolo del Brasile, dal 1947 al 1952 vive negli Stati
Uniti, dove studia ingegneria tessile a Lowell, nel Massachusetts, ma
abbandona l’istituto prima della laurea. Di ritorno in Brasile, nel 1956
studia pittura con Ponç Joan e nel 1958 frequenta l’Atelier-Abstração di
Flexor. Nel 1966 fonda il Gruppo Rex insieme a Wesley Duke Lee, Geraldo de
Barros, Carlos Fajardo, José Resende e Frederico Nasser, con i quali nel
corso degli anni Sessanta realizza happening polemici, ma nel 1967 l’evento
Exhibition-Non-Exhibition, in cui Leirner offre gratuitamente le sue opere al
pubblico, segna la fine del gruppo. Nello stesso anno partecipa alle Biennali
di Tokyo e di San Paolo e al Salone d’arte moderna di Brasília con un’opera
che rappresenta un maiale farcito, che suscita molte polemiche. In occasione
della Biennale di San Paolo del 1969 gli è riservato uno spazio speciale, che
poi per ragioni politiche gli viene negato; nuovamente invitato, esporrà
nell’edizione del 1971. Nel 1970 crea allegorie della scena politica
contemporanea in una serie di disegni e incisioni. Nel 1974 espone A rebelião
dos animali, una serie di opere di forte opposizione al regime militare per
la quale gli viene assegnato un premio dall’APCA, l’associazione dei critici
d’arte di San Paolo, per la miglior proposta dell’anno. Nel 1994 allestisce
una mostra retrospettiva presso il Paço das Artes di San Paolo. Nel 1999
partecipa alla Biennale di Venezia e alla mostra The Fifth Element alla Kunsthalle
di Dusseldorf. Dal 1977 al 1997 insegna presso la Fondazione Armando Alvares
Penteado di San Paolo, svolgendo un ruolo significativo nella formazione
delle più giovani generazioni di artisti.
Glenda León
Nata nel 1976 all’Avana, Cuba, dal 1988 al ’90 ha frequentato la Scuola
di Arti Visive nella sua città, dove nel 1994 segue un corso di filologia
all’Università e nel 1999 si laurea in storia dell’arte presso la Facultad de
Artes y Letras. Nel 2000 partecipa, nell’ambito delle azioni della Galería DUPP
(Desde Una Pragmática Pedagógica), al progetto di René Francisco Rodríguez,
artista e professore dell’Instituto Superior de Arte (ISA), che nel 2001 si
aggiudica il Premio Unesco per la diffusione delle arti. Oltre a tenere
mostre personali a Cuba e a Berlino (Flight of Reason, Magical Reality e
Shape of the Instant), Glenda León rappresenta Cuba alla VIII Biennale
dell’Avana.
Maria A. Listur
Nata in Argentina nel 1964, nei primi anni Settanta inizia a studiare e
lavorare nel mondo della danza, del teatro e della pittura seguendo una
tradizione di famiglia, in quanto figlia d’arte. Negli anni Ottanta frequenta
la facoltà artistica dell’Universitad Nacional di Cuyo, in Argentina. Nel
1991 si trasferisce in Europa dove continua la sua ricerca nell’ambito dell’interdisciplinarità
e della multidisciplinarità, applicandosi trasversalmente alla pittura, al
teatro e alla danza. Nel 2002 crea la Fondazione Relazionearte che ha come
obiettivo di produrre e promuovere eventi multiculturali e interdisciplinari
in cui sperimentare la fusione di diversi ambiti creativi e del sapere
(filosofia, pittura, letteratura, danza, cinema, musica, teatro, linguistica,
scultura, architettura, fotografia, salute), nell’intento di approfondire la
conoscenza dell’essere umano.
Marcos López
Nato a Santa Fe, in Argentina, nel 1958, studia ingegneria presso
l’Universidad Tecnológica Nacional e nel 1978 comincia ad appassionarsi alla
fotografia, tanto che abbandona gli studi universitari per dedicarvisi
completamente. Nel 1982 vince una borsa di studio dal Fondo Nacional de las
Artes, che lo porta a Buenos Aires e che gli permette di partecipare a una
serie di workshop con fotografi argentini e stranieri. La sua formazione
creativa si completa con esperienze lavorative estremamente varie e
articolate: realizza un documentario in un ospedale neuropsichiatrico; crea
con altri artisti il gruppo “Núcleo de autores fotográficos”, in cui
approfondisce il tema della fotografia vista come mezzo comunicativo; si
iscrive a una scuola di cinema e televisione a Cuba per perfezionare la sua
tecnica; lavora a Buenos Aires come assistente alle luci per documentari e
lungometraggi. Vince numerosi premi e borse di studio, partecipa a mostre
collettive e personali ed è presente in un gran numero di collezioni
pubbliche e private del Nord e Sud America e d’Europa.
Sebastiano Mauri
Di origine italo-argentina, Sebastiano Mauri, nato a Milano nel 1972,
vive e lavora per anni tra l’Italia, New York e Buenos Aires. Laureato alla
scuola di cinema della New York University nel 1995, nel 2004 frequenta il
corso di arti visive della Fondazione Antonio Ratti. Per i suoi cortometraggi nel 1996
vince il Warner Brothers Award e il Martin Scorsese Post-Production Award. Nel corso degli anni suoi lavori vengono esposti al MART
di Rovereto, al MNAC di Bucarest, al CACT di Bellinzona, al CCEBA di Buenos
Aires, al KSAK di Chisnau, alla Fundación de Arte Contemporánea di
Montevideo, al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires, all’Espacio Casa de
la Cultura di Buenos Aires, alla Milanesiana 2007 di Milano (Teatro Dal
Verme), al Palazzo delle Papesse di Siena, al MAN di Nuoro, alla Triennale di
Milano. Nel 2009 partecipa alla X Biennale dell’Avana.
Sergio Meirana
Nato nel 1966 in Uruguay, il suo percorso formativo si svolge presso la
Escuela de Arte Pedro Figarí, dove segue il corso di scultura in legno tenuto
da Fernando Izquierdo Egresado (1989-91) e consegue la laurea in scultura nel
2003. Nel 2005 rappresenta l’Uruguay alla V Bienal del Mercosur e al Taller
internacional de arte di Santa Cruz de las Sierras, in Bolivia. Nel 2006
frequenta il seminario di storia dell’arte dell’Uruguay del professor Nelson
Dimaggio presso il Museo Nazionale di Arti Visive e un workshop con Gerardo
Mosquera. Lo stile di Meirana si caratterizza per l’uso di un linguaggio
figurativo narrativo: come in un fumetto, nelle sue opere è sempre presente
un personaggio stilizzato, di legno o di cartone, che rappresenta
l’uruguaiano medio in lotta per la sopravvivenza. Le sue opere, come poesie
visive di forte impatto drammatico, illustrano i problemi sociali
dell’Uruguay. L’artista si serve dell’ironia e dell’umorismo per
rappresentare le pressanti difficoltà della realtà quotidiana.
Ana Mendieta
Nata all’Avana, Cuba, nel 1948, ha un’infanzia felice, ma nel 1961, dopo la
vittoria castrista, lei e sua sorella vengono strappate dalla famiglia e
inserite nel programma statunitense “Peter Pan”, un piano anticomunista per
“salvare” i bambini cubani. Questa esperienza per Ana si traduce in un
continuo pellegrinaggio tra orfanotrofi, case-famiglia e genitori adottivi,
che la condurrà a un forte stato depressivo. Negli Stati Uniti sperimenta
l’emarginazione e la vita come cittadina di seconda classe, negli anni
Settanta frequenta un programma presso la Iowa State University, considerata
in quel momento uno fra i più interessanti luoghi d’avanguardia artistica, e
ottiene due master in arti visive. Durante questo periodo, decisivo nella sua
vita creativa, avviene la scelta radicale di passare dal lavoro pittorico
alle performance, intuendo che i dipinti non sono abbastanza reali per quello
che desidera comunicare: lei vuole che le sue immagini abbiano potere, siano
magiche. L’esclusione dal mondo dell’arte degli artisti di etnie diverse e
delle donne (tra i primi temi che affronta vi è la violenza contro il corpo
femminile) la porta a rivendicare in modo forte la propria identità
transculturale, nei suoi lavori utilizza simboli e aspetti di pratiche
rituali di antiche culture indigene delle Americhe, d’Africa e d’Europa e vi
incorpora elementi della natura e di riti sacrificali primitivi associati
alla santeria cubana. Muore nel settembre del 1985 cadendo dal
trentaquattresimo piano di un appartamento nel Greenwich Village,
probabilmente suicida. I suoi lavori sono presenti nelle più importanti
collezioni pubbliche e private, dopo essere stati esposti in numerose mostre
personali e collettive.
Alejandra Mettler
Nata nel 1965 a Mar del Plata, in Argentina, intraprende il suo percorso
formativo con Basilio Celestino e Ricardo Marcángeli. Nel 1981 studia
pittura e disegno alla scuola Godesberg di Bonn, in Germania, prosegue quindi gli
studi alla Jefferson School of Visual Arts di Minneapolis, in Minnesota. In seguito prende lezioni dal professore Charles Watson
presso il Centro Culturale Parque Laye di Rio de Janeiro e frequenta i corsi
di Juan Pablo Renzi al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires. Studia
infine graphic design all’Università di Buenos Aires. Nel 2002 dà inizio al
progetto comunitario Banderas unidas che ha l’obiettivo di rafforzare
l’identità e i legami sociali della comunità latinoamericana attraverso la
rivalutazione della bandiera come simbolo patriottico: il progetto consiste
nella realizzazione di enormi bandiere prodotte coinvolgendo le comunità
locali.
Beatriz Milhazes
Nata a Rio de Janeiro, in Brasile, nel 1960, frequenta un corso di comunicazione
sociale (1978-81) e la scuola di arti visive Parque Le sue opere, in linea
con l’estetica del Lage in Brasile (1980-82). movimento
“pattern and decoration”, si caratterizzano per i colori vibranti e audaci
usati per comporre motivi giocosi, geometrici e psichedelici. Il suo lavoro
si rifà al barocco, all’opera di Tarsila do Amaral (1886-1973) e Burle Marx
(1909-1994), a modelli ornamentali e all’art déco. Oltre che alla pittura si
dedica all’incisione e all’illustrazione. Nel 1995-96 frequenta corsi di
incisione su metallo e linoleum con Solange Oliveira e Rodrigues Valerio. Nel
1997 realizza le illustrazioni del libro As mil e uma noites à luz do dia:
Sherazade conta histórias àrabes di Katia Canton. Dal 1990 partecipa a mostre
internazionali negli Stati Uniti e in Europa e sue opere entrano a far parte
di prestigiose collezioni come il Museum of Modern Art, il Guggenheim e il
Metropolitan di New York.
Luis Molina-Pantin
Venezuelano, ma nato a Ginevra nel 1969, vive e lavora a Caracas. Dopo la
laurea in belle arti alla Concordia University di Montreal consegue un master
all’Institute of Art di San Francisco nel 1997. La ricerca che emerge
dall’insieme dei suoi lavori rimanda a un’idea di paesaggio immaginifico,
metafisico, legato al ricordo e all’idea di souvenir, che pone l’osservatore
di fronte alla “presenza dell’assenza” di un luogo e di un oggetto di una
terribile storia di sfruttamento e arricchimento, tramutata in una grottesca
allegoria architettonica. La sparizione, la dissolvenza dell’oggetto,
dell’opera e dell’architettura come soggetti e la loro nuova connotazione
sono alla base della sua fotografia e della sua intera ricerca, assieme a uno
spirito archivistico, creatore di campionari che suppliscono alla reale
esperienza, denudando l’incapacità e l’immobilismo umano di fronte alla
seduzione dell’inganno scenico. I suoi Nuevos paisajes (1999-2000) propongono
una gamma di oggetti quotidiani decorati con riproduzioni di luoghi noti o
non definiti, visioni immaginarie di paesaggi avventurosi o confortanti. La
forza di queste immagini, ironicamente evocativa, risiede nella
rappresentazione fuori scala, monumentale e museale, di oggetti banali che
sfiorano il kitsch, facendo sì che l’immagine legata al ricordo prenda il
sopravvento rispetto a quella dell’oggetto, il quale svanisce nella
sovradimensione che l’autore ha scelto di conferirgli.
Ivani Pedrosa
Ivani Pedrosa Moreira nasce nel 1955 a Rio de Janeiro dove vive e lavora. Si è laureata alla
National School of Fine Arts all’Università Federale di Rio de Janeiro
(1995). Ha seguito un seminario
internazionale d’arte a Londra nel 1994 e, dal 1996 al 2004, ha frequentato
la Parque Lage Visual Art School di Rio de Janeiro con i professori Reynaldo
Roels, Iole de Freitas, Guilherme Bueno e Fernando Cocchiarale. Ha iniziato a
esporre nel 1999 al National Museum of Fine Art di Rio de Janeiro e,
successivamente, ha partecipato a molte mostre collettive nel suo paese. Nel
2004 ha fatto la sua prima mostra personale presso la University Centre of
Mariantonia a San Paulo, presentando, in quella occasione, la sua
installazione architettonica e sonora “Espaço Amplificado IV”. L’artista
esplora anche il campo della fotografia fatta con i cellulari, dal momento
che lo vede come un modo veloce e adatto per ricevere e spedire messaggi al
mondo intero. Nelle sue installazioni viene dato risalto al dialogo tra
costruzione e decostruzione dell’immagine che ciascuno di noi offre all’altro
e al “Narcisismo” creato dal mondo contemporaneo. Lo spettatore, al quale
viene richiesto di usare la sua percezione, è guidato ad interagire con
l’opera d’arte senza che gli venga imposto, ma semplicemente per la curiosità
che l’opera provoca in lui entrandovi in
relazione.
Vik Muniz
Nato a San Paolo del Brasile nel 1961, dal 1983 vive e lavora a New York.
Dopo aver frequentato un corso di pubblicità alla Fondazione Armando Alvares
Penteado di San Paolo inizia a lavorare come scultore, ma progressivamente
rivolge la sua attenzione esclusivamente alla fotografia. Il suo lavoro
consiste nel materializzare in modo inusuale immagini-icone: le sue
fotografie sono illusorie, immagini che sfidano la capacità dell’osservatore
di discernere i fatti reali dalla finzione, la verità dall’apparenza. Il
processo creativo di Muniz è piuttosto complesso: l’artista dapprima sceglie
un’immagine, in genere assai nota – la Gioconda, incisioni di Piranesi,
Jackson Pollock o Che Guevara –, e la proietta per terra, poi riempie e
ricostruisce quell’immagine proiettata manipolando plasticamente un materiale
prescelto, quindi la rifotografa. Ne nascono immagini realizzate utilizzando
materiali non ortodossi per la fotografia, come cioccolato, sabbia, filo di
lana, gelatina, polvere, chiodi… Il suo è dunque un gioco illusionistico
basato sulla memoria iconografica, reso con un linguaggio che evoca
l’impressionismo e il pointillisme, dove la tecnica serve a rivelare
l’inganno del linguaggio fotografico.
Alexandre Murucci
Nato nel 1961 a Rio de Janeiro, in Brasile, partecipa a workshop di arte
internazionale con il professore Charles Watson, poi di scultura all’Atelier
Kislansky. Studia alla Scuola d’Arti Visuali di Parque Laje con il professore
Luis Ernesto e in seguito frequenta la Scuola di Architettura e Urbanismo di
Souza e Silva. Inizia a esporre nel 1999, partecipando a numerose mostre
collettive, e nel 2006 tiene la sua prima mostra personale al Museo Nazionale
di Belle Arti di Rio de Janeiro, intitolata Ceci n’est pas Peri. Molto
interessato anche alla videoarte, realizza numerosi lavori come art director
per il cinema.
Ernesto Neto
Ernesto Saboia de Albuquerque Neto, nato a Rio de Janeiro, in Brasile,
nel 1964, dal 1994 al ’97 frequenta la Escola de Artes Visuais Pargua Lage
nella sua città. Inizia a esporre le sue opere nel 1988 in Brasile e dal 1995
comincia a essere conosciuto e richiesto anche all’estero, fino a diventare
un artista che ben rappresenta il suo paese nel panorama internazionale. Nel
1992, con Vik Muniz, partecipa come bandiera del Brasile alla Biennale di
Venezia. I suoi lavori sono installazioni che coinvolgono fisicamente lo
spettatore, cercando di provocarne reazioni mediante stimoli sensoriali e
istintuali, passionali e ingenui. Questo stuzzicante approccio ha origine
dalla convinzione che l’arte possa dare contributi positivi e curativi
all’individuo e alla società. Le sue opere sono spazi di riflessione, rifugi
dal caos esterno, luoghi accoglienti in cui trovare pace, una sorta di
rassicurazione circa la precarietà della vita contemporanea. Neto auspica
“un’arte meno perversa e più sensuale, un’arte che da sola ci raccolga in una
sorta di luogo spirituale dove si possa respirare un’idea di infinito, di
totalità, dove sia possibile trovare una continuità tra noi e l’universo”.
Nadin Ospina
Nato il 16 maggio 1960 a Bogotá, in Colombia, dal 1979 al 1982 insegna belle
arti nella locale Università Jorge Tadeo Lozano. Nel 1992 partecipa al XXXIV
Salón de artistas colombianos e vince il primo premio. I suoi lavori più noti
sono frutto di una contaminazione fra tradizione latinoamericana e cultura di
massa occidentale contemporanea. Il percorso di ricerca dell’artista riflette
sulla mancanza di una visione corretta dell’arte latinoamericana primitiva,
che lo porta a realizzare una serie di statuette votive in stile
precolombiano raffiguranti personaggi noti dei cartoon come Bart Simpson,
Minnie e Topolino. In opposizione all’immagine stereotipata del suo
continente e in particolare della Colombia, diffusa secondo l’artista anche
attraverso i giocattoli per bambini, Ospina realizza una serie di ritratti
che ripropongono i personaggi Lego della linea “Avventurieri” in moderni
contesti colombiani, riadattando in chiave ironica i cliché latinoamericani
in tutte le loro dannose varianti.
Héctor Javier Ramírez
Nato a Guadalajara, in Messico, il 5
gennaio 1977, tra il 1994 e il 1999 frequenta un corso di pittura presso la
Escuela de Artes Plásticas dell’Università di Guadalajara. Partecipa quindi a
vari corsi di perfezionamento per affinare la sua tecnica: studia
l’acquerello con il maestro Luís Eduardo González, l’incisione con Gustavo
Alvarado, prende lezioni di disegno e pittura da Martha Pacheco. Affascinato
dal sublime, si concentra sullo studio del lato oscuro dell’equilibrio
esistenziale, cercando risposte ad alcune tra le più antiche questioni
filosofiche. Trattando i temi della lotta e della morte, il suo lavoro
denuncia la perdita dei valori antropici e indaga la presenza di umanità nel
genere animale. I suoi dipinti e disegni a carboncino, mai inferiori al metro
di altezza, dominano lo spazio avvolgendo l’osservatore in un’atmosfera
asettica e tetra. L’artista, spregiando la bellezza del corpo e la perfezione
delle forme, si dichiara a favore di un’estetica del brutto e del grottesco.
Numerosi i premi vinti, più di cento le esposizioni collettive e una decina
le mostre personali.
Roberto Rébora
Nato nel 1963 a Guadalajara, in
Messico, segue un percorso formativo da autodidatta e inizia a lavorare come disegnatore
e fumettista per giornali e riviste all’età di soli quattordici anni,
esponendo poi regolarmente i suoi disegni in varie gallerie e centri
culturali in Messico e anche all’estero. Nel 1982 la casa editrice Quarta
Menguante pubblica un libro di suoi disegni, Si existieras señor Mecenas.
Considerato uno dei più significativi disegnatori della sua generazione, le
sue opere fanno ormai parte di importanti collezioni pubbliche, tra cui il
Museo Marco di Monterrey, il Museo de las Artes de la Universidad di
Guadalajara, il Frankfurter Kunstverein di Francoforte e il Museo de las
Américas di Washington.
Antonio Rodríguez
Pittore messicano documentato tra il 1668 e il 1691, è noto come il
“Tiziano del Nuovo Mondo”.
José Rufino
Nato nel 1965 a João Pessoa (Paraíba), vive e lavora in Brasile. Nel 1978
segue un corso di arti plastiche e nel 1993 frequenta la School of Visual
Arts di New York. Dopo la laurea in geologia, nel 2000 consegue un master in
geoscienze all’Università di Pernambuco. Il suo percorso creativo, iniziato
con la poesia visiva brasiliana, si caratterizza in seguito nella
realizzazione di installazioni concettuali utilizzando mobili e documenti. Ne
è un esempio Plasmatio, un’installazione di denuncia politica esposta alla
Biennale di San Paolo nel 2000: l’opera si compone di sedie, tavoli e
scrivanie disposte a forma di croce, con un lenzuolo nel mezzo, dove si
possono leggere brani tratti dai diari di prigionieri politici. Secondo
l’artista è un tentativo di materializzare la nostalgia. Un’altra
installazione, Nausea, è composta da schedari d’acciaio con documenti di
politica brasiliana su cui l’artista ha ricreato le macchie d’inchiostro
simmetriche del test psicoanalitico di Rorschach. Oltre a tenere numerose mostre
personali, ha partecipato a rassegne collettive internazionali come la
Biennale Barro de América a Maracaibo (1998), Panorama de arte brasileira al
Museu de Arte Moderna di San Paolo (1997), la VI Biennale dell’Avana (1997).
Daniel Santoro
Artista argentino di origine italiana nato a Buenos Aires nel 1954, studia
alla Escuela de Bellas Artes Prilidiano Pueyrredón e prende parte al workshop
di Osvaldo Attila. Tra il 1980 e il 1991 lavora come scenografo al Teatro
Colón. Dal 1985 compie diversi viaggi ed espone in numerose gallerie d’arte e
musei.
Demian Schopf
Nato a Francoforte sul Meno, in Germania, nel 1975, vive e lavora a Santiago
del Chile. Dopo la laurea in belle arti all’Università Arcis di Santiago del
Cile ha conseguito un master in arti visive presso l’Universidad de Chile e
ha completato gli studi presso l’Accademia di Media Arts con Jürgen Klauke e
Siegfried Zielinski a Colonia, in Germania (2002-2004). Attualmente sta
portando a termine un dottorato in estetica all’Università di Santiago. Nello
sviluppo della sua produzione Damien Schopf sperimenta e mescola diverse
tecniche, usa la fotografia e il digitale per comporre messe in scena che
ripropongono l’immaginario religioso coloniale sotto una nuova ottica,
assumendo un atteggiamento critico verso i processi della modernità.
L’artista sostiene l’ipotesi che il dibattito moderno/postmoderno in America
Latina debba pensarsi a partire dalla colonia e non dai movimenti
indipendentisti e illuministi del XIX secolo.
Daniel Senise
Nato nel 1955 a Rio de Janeiro, in Brasile, si laurea nel 1980 in ingegneria
civile all’Università Federale di Rio, dove negli anni seguenti frequenta la
Scuola di Arti Visuali (EAV) di Parque Lage, in cui poi insegnerà dal 1985 al
’96. Partecipa a varie Biennali internazionali: nel 1985, 1989, 1998 a quella
di San Paolo del Brasile, nel 1986 a quella dell’Avana e nel 1990 a quella di
Venezia. Numerose anche le esposizioni in musei, quali il MASP e il MAM di
San Paolo, il MOMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi. Dagli anni
Ottanta tiene frequenti mostre personali in musei e gallerie del Brasile, ma
anche negli Stati Uniti, in Messico, in Francia, in Svezia, in Portogallo e
nei Paesi Bassi. Vive e lavora a Rio de Janeiro.
Divino Sobral
Nato nel 1966 a Goiânia, in Brasile, continua a vivere e a lavorare nella
sua città. Dal 1990 opera come artista plastico indipendente. Le sue opere,
che nascono dalla fusione di linguaggi differenti, mostrano la poliedricità
dell’artista: disegno, pittura, ricamo, oggetti, sculture, installazioni,
performance, fotografie, sono solo una parte del suo ricco lavoro. Numerosi
sono i premi vinti e le partecipazioni a mostre personali e collettive,
tenute prevalentemente nella sua terra d’origine.
Adriana Varejão
Nata nel 1964 a Rio de Janeiro, in Brasile, vive e lavora nella sua città.
Nella sua opera si ritrovano collegamenti con l’arte barocca, la storia
coloniale del Brasile, la letteratura e la musica tradizionale brasiliana. Le
sue tele, stracciate per mostrare la viva carne, e ispirate dalle
tradizionali piastrelle portoghesi, creano un’interazione tra pittura,
scultura e architettura. Illusione, teatralità, monumentalità, stravaganza,
artificio, allegoria e travestimento sono tutti elementi che fanno parte del
suo lavoro, di forte impatto visivo. Ben conosciuta nel mondo dell’arte,
partecipa a numerose mostre collettive e personali a livello nazionale e
internazionale.
Yoel Vázquez
Nato all’Avana, Cuba, nel 1973, dal 1993 al ’97 studia presso l’Accademia
di San Alejandro e dal 2004 vive in Europa. All’inizio il suo interesse si
focalizza principalmente sull’analisi dell’esistenza umana, lo studio
dell’energia e del comportamento dei singoli esseri umani, il loro credo
religioso e politico, il loro stato d’animo, le loro ansie e passioni, i loro
sforzi, necessità e sogni. Negli ultimi anni il suo lavoro avvia una
riflessione sulle esperienze di migrazione e l’idea di una storia personale:
cosa significa lasciare la propria cultura, la famiglia, gli amici, per
vivere in un mondo con un diverso codice culturale. Vázquez utilizza la
fotografia, il video, il disegno e la scultura creando un originale
linguaggio artistico.
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